La pesca del corallo esiste da sempre. Non è un’esagerazione. Andando a ritroso fino a più di 2000 anni fa, la pesca del corallo esisteva già. Nata per caso, ma per fortuna.
I primi rami di corallo infatti, restavano impigliati nelle reti dei pescatori quasi per caso. In questo modo l’uomo ha iniziato a scoprire questo materiale così affascinante, quanto misterioso.
Ornamento, ma non solo. Come testimoniato da Marco Polo, il corallo nei mercati asiatici veniva usato come moneta di scambio. Tant’è vero che il mercante veneziano partiva da Venezia ben carico di “oro rosso” da scambiare con sete e altri preziosi, una volta giunto in Asia. È sempre in Cina che già dall’anno 1000 il corallo fa la sua comparsa tra i gioielli di corte, insieme a turchesi, perle e giade.
È nel Rinascimento, come già detto in altre occasioni, che l’uso corallo si diffonde sempre più in Europa, soprattutto come amuleto, ma non solo. È proprio in questo periodo storico e culturale che il corallo inizia il suo rapporto simbiotico con la cittadina di Torre del Greco. Inizialmente lo si pescava al largo del Marocco, e ad occuparsene erano equipaggi provenienti da Napoli, dalla Spagna e dalla Sicilia, ed in Sicilia si trovava la città che deteneva il primato nella pesca e nella lavorazione. Si trattava della città di Trapani, presto scalzata da Torre del Greco, quando alla pesca si unì anche la lavorazione del corallo e dei cammei.
Corallo e mare, due elementi a cui Torre del Greco deve la sua ricchezza. Nella seconda parte dell’Ottocento proprio a Torre del Greco si creò una flotta di barche a vela, progettate esclusivamente per la pesca del corallo, le cosiddette coralline, che portavano a bordo i famosi corallari, i pescatori di questo pregiato oro rosso.
È il 1874 quando dal porto di Torre del Greco salpano ben oltre 400 imbarcazioni piccole e agili, in grado di raccogliere i rami di corallo in particolare nelle basse profondità, perché munite dell’ingegno – chiamato anche croce di Sant’Andrea – , uno strumento costituito da due assi di legno, disposte a croce e alle cui estremità si trovavano dei pesi, lungo i quali erano sistemate le reticelle di canapa, chiamate in gergo cordazzi, dove si impigliavano i rami che sporgevano maggiormente sui ceppi dagli scogli.
La pesca del corallo, che va essenzialmente dal mese di aprile a quello di ottobre, è proseguita in questo modo fino agli inizi del Novecento. Quando poi le vele iniziarono ad essere sostituite dai motori, e i banchi nelle acque più basse cominciavano a scarseggiare, la pesca si è spostata più a largo e la croce di legno venne sostituita prima da una sola asse di legno con i cordazzi alle estremità, per poi rimpiazzare il legno con l’acciaio. Si trattava in questo caso, di quella che viene definita pesca a strascico, che negli ultimi anni è stata abbandonata completamente, per lasciar spazio ai moderni corallari, sub specializzati che scendono a profondità di circa 100 metri per raccogliere solo i rami pronti per essere lavorati, i più grandi, evitando di depredare inutilmente interi banchi di coralli. Si parla oggi quindi, di pesca selettiva. Un tipo di pesca che richiede un enorme impegno. Proviamo a dare un’idea ella sua difficoltà: perché il sub riesca a stare sul fondo per un periodo di tempo compreso tra i 15 i 20 minuti, sono necessarie circa 3 o 4 ore in ammollo per la decompressione.
È importante sapere che la pesca del corallo è ben regolamentata da norme volte a proteggere l’ambiente marino, perché gli stessi corallari, che molto spesso si riuniscono in associazioni di settore per promuovere attività molto valide come nel caso di Assocoral, hanno a cuore il rispetto del mare e la sensibilizzazione per un rapporto consapevole con l’ecosistema marino.
Sono pochi i pescatori che hanno il permesso di dedicarsi alla pesca del corallo. E tutto è regolato dalla la rotazione dei banchi, permettendo così al corallo di crescere rigoglioso nei nostri mari.